Somme

La cosa ironica è che mentre le felicità non si sommano mai, non si riesce ad essere più felici di quando si è felici e basta, tutte le perdite che abbiamo subito nella nostra vita riescono, in qualche modo perverso, a sommarsi tra di loro, dalla più piccola alla più importante e pensare ad una sola di esse, in qualche modo, richiama tutte le altre, mano nella mano. Sempre.

Non raccontiamoci balle

Facciamo che le parole riprendano il loro vero peso, il loro vero significato e il loro vero valore: nessuno può credere veramente che togliere diritti a qualcuno possa permettere di darne ad altri. Perché? perché i diritti non sono un gioco a somma zero, perché non ha mai funzionato così e perché togliere diritti ai lavoratori significa sempre e solo far sì che quello con meno diritti diventi il lavoratore standard e preferito perché costa meno e ha meno pretese. Allora diciamo le cose come stanno: quello che si sta sostenendo è che si tolgono diritti per ottenere in cambio lavoro. Ovvero che si sta cedendo ad un ricatto. Legittimo, con il 40 e passa % di giovani disoccupati. Si può pensare che avere lavoro, qualunque tipo di lavoro, sia meglio che avere diritti che tanto non si potranno esercitare. Si può pensare, legittimamente, che debba essere lo Stato a farsi carico di sostenere i lavoratori disoccupati, tra un lavoro poco garantito e l’altro (e però questo si potrebbe sostenere e si potrebbe perfino condividere, se lo Stato avesse messo in campo le risorse per farlo, cosa che invece, all’atto pratico, non è e non può essere, visto lo stato dei nostri conti pubblici). E’ una discussione legittima, che ci troverà su uno dei due lati opposti, ma almeno sarà una discussione vera e sincera.
Quello che non si può legittimamente sostenere è che si stia difendendo dei lavoratori più sfortunati, contro il privilegio di lavoratori garantiti. Perché è falso ed è un argomento emotivo che vuole nascondere la realtà dei rapporti di forza. Allora discutiamo serenamente e sinceramente, ma niente retorica e parole d’ordine che non valgono le pagine web (gratuite) su cui sono scritte.

Io veramente questo orgasmo da rivoluzionarie in visita che si fanno venire le caldane per il popolo in rivolta, anche se il popolo in rivolta sta solo facendo l’ennesimo assalto al forno delle grucce, o che sperano di poter indirizzare la giusta indignazione proletaria nelle direzioni che a loro piacciono, ma che il popolo in rivolta non ignora, ma semplicemente ritiene inutili, ridicole e incomprensibili, mi fa ancora più tristezza del sottopancia reazionario che invariabilmente si muove nello stesso modo, fa le stesse cose e agisce nello spasmo pavloviano della guerra tra poveri e lumpenproletariat, che magari gli dà anche una mano, essendo pure di colore diverso o di lingua incomprensibile. Questo perché mi intristisce pensare che qualcuno mangi merda, ma mi intristisce molto di più che qualcuno pretenda che sappia di vaniglia.
E no, qualora dovesse sorgervi il dubbio, questi non sono gli ultimi, non sono gli oppressi, non sono i deboli. Sono la mezza classifica che improvvisamente vede arrivare la zona Cesarini.

GRANDE E’ LA CONFUSIONE SOTTO IL CIELO

Purtroppo avrei voluto usare la seconda parte di questa nota massima di Mao Tse Tung (lo so, lo so, ora è più accettata la grafia Zedong, ma abbiate pazienza, non mi potete cambiare di sotto i nomi delle cose come se nulla fosse, sono ancora preda di un retaggio nominalistico medievale e Beijing, diciamocelo, come nome è tristissimo), ma un altro blogger, Leonardo, l’ha usata prima di me e quindi mi devo rassegnare.

Dopo un giorno di incredulità, di rabbia e di vera e propria perplessità, sono arrivato a considerare i risultati di queste elezioni non l’assurda e inspiegabile (oddio, inspiegabile, parliamone, diciamo che se per un anno sostieni un governo tendenzialmente neoliberista e che fa cose che non sono quelle che tu vorresti fare, colpisce in ogni modo i tuoi elettori e soprattutto segue principi di politica economica che sono l’opposto di quelli che vorresti fossero adottati, che una parte consistente dei tuoi elettori ti bastoni non è esattamente un fulmine a ciel sereno, anche se abbiamo cercato per mesi di raccontarci il contrario, basandoci su sondaggi che, a questo punto, appaiono essere stati largamente inaffidabili) tragedia politica che mi erano parsi in un primo momento, ma una incredibile opportunità.

So che questa affermazione potrà lasciare perplessi molti, soprattutto tra quelli che hanno fatto la mia stessa scelta di voto.

Certo, avrei preferito anche io una maggioranza di Italia Bene Comune che fosse in grado di governare autonomamente, ma così non è stato e ripensando a come è stata fatta la campagna elettorale, ma soprattutto a quali sono state le scelte del PD di un anno fa, quando alcuni come noi e alcuni nel partito, come Fassina, proponevano di andare subito ad elezioni dopo le dimissioni di Berlusconi, contro una gran parte del partito che ha preferito, come al solito, la sindrome del primo della classe e la solita, inutile, rincorsa al centro e una spasmodica ricerca di patente di affidabilità post-comunista, probabilmente ce lo siamo abbastanza meritato.

Esaminiamo invece la situazione come, ad oggi, ci si presenta: il PD ha vinto (di strettissima misura e solo grazie al voto degli italiani all’estero), ma non ha una maggioranza al Senato e alla Camera la maggioranza assoluta è garantita solo da un ridicolo e insensato premio di maggioranza garantito dal Porcellum. Se un governo deve essere, può essere solo un governo di coalizione o un governo di minoranza con un appoggio esterno.

Le possibilità, come sappiamo sono poche: essendo ininfluente il numero di senatori di Monti, l’unico modo per raggiungere una maggioranza è accordarsi col Movimento 5 Stelle o col PdL.

E’ ora però che si aprono degli scenari interessanti: se il Movimento 5 Stelle (secondo partito alla Camera, di pochissimo) è qualcosa di diverso da un semplice movimento di protesta, senza costrutto, senza la voglia di FARE realmente le riforme che propone (quantomeno le più importanti e condivisibili), è ora che deve essere sfidato a dimostrarlo. Paradossalmente, il PD si trova in una situazione incredibilmente favorevole. Può dire: noi siamo disponibili a fare queste cose: legge sul conflitto di interessi, legge anticorruzione, riforma elettorale e una parte consistente delle proposte del programma m5s condivisibili anche da noi (e ce ne sono, senza scomodare il referendum per l’uscita dall’Euro o il salario di cittadinanza, che, vivaddio, io in quanto elettore del PD sarei felicissimo di poter fare, se qualcuno mi spiegasse esattamente come andrebbe finanziato). Questa è la nostra proposta. A voi il boccino. Che volete fare?

L’impressione, parlando in rete con esponenti del movimento e discutendo qua e là, è che in realtà i grillini siano terrorizzati, che non è per niente facile aver gridato VAFFANCULO fino a cinque minuti prima e ritrovarsi ad avere in mano le chiavi del governo del paese. E’ un florilegio di: “avete vinto voi, adesso siete voi a dover governare” o di: “Tanto farete l’inciucio col PdL e il movimento andrà al 40%!” che suona come un palese auspicio, perché non è mai bello sentir tremare le proprie fondamenta ideologiche, per quanto semplici e incontrovertibili esse potessero apparire fino a poco prima.

Se il m5s si dimostrerà una forza di governo, oltre che di lotta, allora esiste la base per un’intesa, la possibilità di sfruttare una situazione che difficilmente si ripresenterà, per fare un po’ di cose importanti, di cose che faranno bene al paese, ma soprattutto di cose che non si è riusciti a fare per un ventennio, stretti tra l’essere minoranza in Parlamento, la paura di sembrare “estremisti”, il doversi misurare in equilibrismi interni tra le componenti cattoliche, quelle socialdemocratiche, quelle liberaldemocratiche che tra veti incrociati e sospetti reciproci hanno bloccato ogni vera e radicale azione di governo anche quelle poche volte che le elezioni le abbiamo vinte sul serio.

Se invece il m5s si dimostrerà incapace di passare dalla protesta alla costruzione di qualcosa, allora si dovrà andare ad elezioni. Di nuovo. E, io spero, gli italiani si renderanno conto di chi sia la colpa. Ma anche se così non fosse, non è una tragedia. Rimarremo fermi al palo, non importa, ne approfitteremo per fare pulizia in casa nostra, per ricostruire un partito che ormai è evidentemente nella chiara e stringente necessità di essere rinnovato, prima che nelle idee, nelle sue componenti. Nella sua dirigenza. Nel suo modo di interpretare l’azione politica. 

E’ il momento di rimboccarsi le maniche, di cominciare a fare politica in prima persona, di ricostruire dalle fondamenta questo partito, di renderlo più compatto, spregiudicato, di dimenticare le paure che ci hanno accompagnato per un ventennio e finalmente, si spera, di vincere.

No, l’eventuale accordo di governo col PdL non è un’opzione, cari D’Alema, Veltroni e renziani, è solo il modo per essere certi che questo partito non si riprenderà mai più dalle sue ossessioni (né alle urne). E non mi si venga a parlare dello spread. E’ grazie a questo fantasma che si aggira per l’Europa che abbiamo accettato di apparire alla nazione come l’esattore fiscale di un governo espressione dei veri poteri forti (se mai ce ne sono stati), dei Montezemolo, dell’intellighenzia finanziaria, dei tecnici neoliberisti che hanno sempre le stesse ricette, che non portano mai a risultati apprezzabili, se non, sempre, per pochi. E un anno di sacrifici e di salasso del ceto medio basso, dei dipendenti, dei soliti noti, in termini di costo del debito verrà probabilmente bruciato nel giro di un mese a colpi di dichiarazioni su referendum anticostituzionali per uscire dall’Euro. Ne valeva la pena? Io penso proprio di no.

P.S.

Dato che i minus habens paiono abbondare, di questi tempi: no, non mi paga il PD lo stipendio, non lavoro per il PD e non ho neppure la tessera del partito (ma ora e solo ora ho deciso che la farò), non ci guadagno niente. Spero solo che possa guadagnarne qualcosa questo paese e, in ultima analisi, tutti noi.

 

IL MOMENTO DELL’ANALISI

La sopraffina analisi politica del compagno Sandrone: “E ADESSO BASTA, PORCO***, CHE QUA SI VA A FINIRE COME AL LICEO CHE NOI ERAVAMO BRAVI E BUONI E NON SI SCOPAVA MAI E INVECE SCOPAVANO QUELLI CHE ERANO TANTO RIBBELLI”. Sono ore che ci penso, ma non potrei trovarne una di più raffinata e veritiera.

DOUBLE FEATURE PICTURE SHOW (2)

Le altre elezioni, oltre a quelle regionali di cui ho parlato, ovviamente, sono quelle politiche.
Ho preferito pubblicare questo post ad urne chiuse, un po’ perché volevo evitare gli infiniti scontri della propaganda elettorale e un po’ perché a credere di poter far cambiare opinione di voto a chicchessia con un post su un blog, si rischia sempre di cadere nella megalomania. Nonostante tutto, da queste parti siamo rimasti affezionati a quel minimo di autoironia (anche perché, senza, difficilmente arriverò vivo alla fine della maratona elettorale).

Però volevo scrivere questo paio di ragionamenti per dare una risposta finale, in attesa dei risultati definitivi, a diverse considerazioni contro le quali ho dovuto combattere spesso in campagna elettorale, prima per le primarie del centrosinistra e poi per le elezioni politiche:

1) PD e PdL, sono tutti uguali, sono quelli che ci hanno governato finora e sono quelli che ci hanno ridotto nelle condizioni in cui siamo ora.

Negli ultimi venti anni il centrosinistra ha governato, ad esagerare, per otto anni. Gli altri sono stati governi tecnici e soprattutto governi Berlusconi. I due governi Prodi sono purtroppo caduti (il primo, per colpa del centrosinistra stesso) prima di poter fare granché, ma il primo governo Prodi finché fu in grado di fare qualcosa, fece bene.
Basti guardare l’andamento dei conti pubblici per rendersi conto che solo durante i governi di centrosinistra, diminuì il deficit dello stato, per poi aumentare di nuovo, durante i governi Berlusconi. Certo, si potrebbe obiettare che il centrosinistra al potere aumentò anche la pressione fiscale. Sarebbe un’obiezione valida, non fosse che anche il centrodestra durante i suoi governi aumentò, ancora di più, questa stessa pressione fiscale, non portando però neppure il risultato di diminuire il deficit. Quindi, benché mi renda perfettamente conto quanto sia più facile ragionare per categorie preconcette e semplificazioni grossolane, la verità è un’altra, piaccia o meno.

2) Se avesse vinto Renzi il centrosinistra avrebbe stravinto

Allora, vediamo di capirci. O il programma di Renzi, per quanto più orientato alla liberaldemocrazia che alla socialdemocrazia rispetto a quello di Bersani, era comunque un programma di centrosinistra e quindi un potenziale elettore di Renzi dovrebbe comunque essere un elettore del centrosinistra anche con Bersani candidato premier, sia pure, magari, rappresentato meno perfettamente dai programmi e dalle idee della coalizione, oppure il programma di Renzi, che piaceva ad elettori di destra, elettori di destra che una volta che Renzi ha perso non hanno voluto votare per la coalizione, non era un programma di centrosinistra e non avrebbe potuto essere digerito dagli elettori che di quella coalizione sono i sostenitori naturali. La verità è che se Renzi avesse vinto, probabilmente il PD avrebbe perso moltissimi elettori in favore di SEL e RC, sia pur guadagnandone qualcuno (ma quanti, in realtà? Sappiamo bene che gli elettori di centrodestra, storicamente, quando si avvicina la pugna, tornano all’ovile berlusconiano) e che la situazione sarebbe rimasta invariata, se non sarebbe addirittura peggiorata. Coi se e coi ma non si fa politica, fatevene una ragione. E neppure con le ripicche retroattive. Essere politicamente adulti significa anche, in Italia soprattutto, scegliere un partito, scegliere un candidato alle primarie e, comunque, chiunque vinca, sostenere quel partito. Così avviene in tutti i paesi che hanno una cultura democratica e una storia democratica più lunga e forte della nostra. Non sarebbe male, per una volta, adeguarci.

3) Le posizioni del centrosinistra sono troppo di destra/troppo di sinistra

Da un lato i fan di Renzi che se la prendono con Fassina e SEL, paventando una sorta di resa al bolscevismo internazionale, dall’altra i fan di Ingroia che accusano il PD di essere la nuova DC. Che dire? Probabilmente, facendo la tara da destra e da sinistra, queste obIezioni dimostrano che la posizione di Bersani era la migliore possibile.

4) Vi alleate con SEL, ma tanto poi dovrete governare con Monti

Se ti sta bene votare PD e ti dà fastidio (come al sottoscritto) l’idea di doversi alleare con Monti, Casini e Fini,allora dai i tuo voto alla coalizione di centrosinistra (PD o SEL che sia) e speri che con il tuo voto e quello degli altri come te, la coalizione possa raggiungere l’autosufficienza alla Camera e al Senato. Non ti lamenti anticipatamente dell’impossibilità per il centrosinistra di governare da solo e gli neghi il tuo voto. L’impressione è che, come sempre, ci sia una gran parte dell’elettorato che, piuttosto che votare il PD, si farebbe tatuare “Vercingetorige” sugli ammennicoli, senza anestesia, che cerca sempre qualunque potenziale scusa per tornare a votare dall’altra parte (e, questa volta l’altra parte si è divisa in due, i “vecchi” e i “nuovi”, ma sempre qualcosa di completamente diverso dalla sinistra, per quanto moderata essa sia).

Al momento si susseguono istant poll, prime proiezioni, la borsa va su e giù come un ottovolante e ancora nulla di quello che sarà il risultato finale è chiaro. Ma almeno quando sentirò queste obiezioni (e le sentirò, eccome se le sentirò, soprattutto se le cose andranno male) potrò fornire volentieri il link di questo post ed eviterò di farmi salire la pressione.

 

DOUBLE FEATURE PICTURE SHOW (1)

Questo fine settimana si andrà a votare (ok, si tratta di domenica e lunedì, non è esattamente il weekend ma confido che ci siamo capiti) e qui in Lombardia il voto sarà doppio. Si voterà per le elezioni politiche e per la regione.

Non penso di dover spiegare perché questa sia un’occasione unica. Un’occasione, per una volta, di fronte alle difficoltà del centrodestra (difficoltà che, nonostante tutto, gli permettono di essere la seconda coalizione, con rischio non ancora scongiurato di rimonta) di mettere il centrosinistra al governo di questo benedetto (no pun intended, amico Vaticano) paese.

E un’occasione ancora più rara: mettere una persona di valore come Umberto Ambrosoli a capo di una regione distrutta dagli scandali e da diciotto anni di Formigoni e di egemonia di Comunione e Liberazione. Diciotto anni, neppure la buona condotta hanno voluto darci, chissà, forse perché non ce la meritavamo.

Noterete che nel caso di Umberto non ho parlato di sinistra. Non l’ho fatto volutamente, perché, parlando di Ambrosoli, che egli sia di sinistra (cosa che neppure so se sia vera ad oggi) o che sia lo schieramento di centrosinistra a sostenerlo, per una volta non conta neppure per me. Conta che, per la prima volta da che io mi ricordi, potremo avere al governo della regione più importante d’Italia, in termini economici, qualcuno di cui fidarci, qualcuno che sia onesto e che valga il voto che esprimeremo per eleggerlo.

Conosco Umberto dai tempi del liceo. Facevamo politica insieme. Per una raggiante stagione (almeno nella mia memoria, abbiate pietà, ormai ho un’età e un minimo sindacale di nostalgia mi è permessa) che durò un paio di anni, Iniziativa Laica, la nostra lista al liceo classico Alessandro Manzoni di Milano, sbaragliò la concorrenza di FGCI e CL. Una cosa obiettivamente non comune a quei tempi e che catapultò me e Betò (questo il soprannome di Umberto, che credo usi ancora oggi) in consiglio di istituto.

La quota accettabile di nostalgia di cui sopra credo sia terminata anche per me, ma l’amarcord era per dire che ho conosciuto Umberto molto bene e l’ho conosciuto facendo politica.

Eravamo giovani, esaltati, idealisti, probabilmente anche un po’ stupidi, non lo fossimo stati, dopotutto, a quell’età, sarebbe stato preoccupante, però quell’esperienza mi ha permesso di sapere che tipo di persona sia Umberto Ambrosoli e credetemi, se c’è una cosa che ho capito in tutti questi anni è che la natura di una persona, la sua più riconoscibile essenza, difficilmente cambia con l’età. Si può diventare più cinici, più smaliziati, più disincantati, ma difficilmente si diventerà qualcosa di profondamente diverso da ciò che si è stati. 

Non mi dilungherò su quale sia stato in seguito l’impegno di Umberto nella sua professione di avvocato o nel girare le scuole per anni per parlare di cultura della legalità, sono cose che potete venire a sapere leggendo una qualunque biografia online o un qualunque articolo di giornale. Non mi sembra neppure dirimente ricordare di chi Umberto sia figlio. Sono più interessato a parlare di Umberto, della persona che è e della persona che ho conosciuto, che prescinde da tutto questo.

Umberto l’ho conosciuto, ho fatto con lui assemblee, discussioni, riunioni, picchetti e consigli di istituto, ho discusso con lui di politica e organizzato con lui le nostre piccole ma impegnative campagne elettorali, so chi è.

Ed è una persona degna di essere eletta a governare la Lombardia. Non solo in confronto a quelli che sono i suoi oppositori, ma in primis per la persona che è. Altri potranno apprezzare lo schieramento che lo sostiene, la sua storia professionale o familiare o altri cento particolari della sua vita, io apprezzo la persona e la conoscenza che ho di lui. 

E in base a questa conoscenza vi dico: votatelo. Non ve ne pentirete.

Vota e fai votare

Anni fa, molti anni fa, vidi in televisione un film dal titolo Liquirizia. Alla fine del film, durante un rock’n’roll cantato da Ricky Gianco, gli studenti che erano convenuti ad assistere ad uno spettacolo scolastico, spaccavano tutto in preda ad una giovanile furia catartica. Immagino che in una sorta di frenesia pre-punk questo gesto finale rappresentasse la gioventù che, libera dalle pastoie delle regole civili, della “normalità”, dell’inutile susseguirsi del teatrino quotidiano, finalmente affermasse la sua forza dionisiaca, inarrestabile. Questo ho immaginato, ma la verità è che agli occhi del me quindicenne di allora apparvero essere primariamente una banda di deficienti. Questo perché a me i propugnatori della “guerra sola igiene del mondo”, gli apocalittici, quelli del “non si può ricostruire se prima non si distrugge”, sono sempre sembrati degli ingenui, dei pericolosissimi ingenui. Non solo perché, come ci ha insegnato Santayana, chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo, ma soprattutto perché se c’è una cosa che ho capito (e l’aveva già capita il mio alter ego quindicenne), è che, per quanto questo cozzi con le nostre illusioni, con le nostre speranze e con la nostra prepotente pigrizia mentale, non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. Non esiste la parola magica, il sim-sala-bim, che può trasformare una realtà difficile, imprevedibile, incasinata, in una perfetta casa della Barbie. E le parole d’ordine servono, sono necessarie a sintetizzare una posizione politica, una convinzione, ma attenzione, uno slogan, per quanto evocativo,non sostituisce mai un’idea politica, perché è uno slogan, di nuovo, un modo troppo semplice per rispondere a domande complesse.

Qual è la semplificazione con la quale me la sto prendendo? L’idea che per risolvere tutto basti rottamare (soprattutto, visto che ormai la FIAT di Detroit non è riuscita a reimporre gli ecoincentivi), l’idea che chiunque vada bene “purché non siano quelli di prima”, l’idea, alla fine, che l’unico modo per costruire un mondo migliore sia distruggere e dimenticare quello precedente. Intendiamoci, non sono e non sarò mai un conservatore, non penso che si stesse meglio quando si stava peggio e anzi, sono profondamente convinto del fatto che quando si stava peggio si stava solo peggio. Semplicemente non accetto che chi porta avanti idee che non sono in alcun modo nuove o rivoluzionarie sostenga che queste stesse idee servano a comprendere meglio i tempi nuovi di altre idee che hanno la stessa identica dignità ad interpretare i tempi in cui ci troviamo a vivere. Leggo, anche da persone che stimo per lucidità e capacità di analisi, che il novecento è finito e che non si può più interpretare i tempi nuovi con le categorie del secolo passato. Ecco, io a tutti voi chiedo: quali sono queste nuove idee che dovrebbero interpretare questo nuovo secolo, quali sono queste nuove visioni del mondo, che dovrebbero sostituire le vecchie idee di socialdemocrazia, di uguaglianza sociale, di difesa dei diritti dei lavoratori, dei deboli, di coloro che sono svantaggiati tra le comparse che riempiono il teatro del mondo? La flessibilità? L’efficienza produttiva? Le liberalizzazioni? Le privatizzazioni? La concorrenza verso coloro che hanno un costo del lavoro inferiore al nostro, fatta attraverso la compressione dei salari, dei diritti, delle garanzie? La supremazia del mercato? La libera concorrenza? Posto che alcune di queste possano essere le risposte che cerchiamo, qualcuno può legittimamente sostenere che queste non siano idee che appartengano incontrovertibilmente a quel novecento che si vorrebbe morto e sepolto? Fatevene una ragione: il novecento non è affatto finito, alla meglio, se ci dice bene, siamo ai tempi supplementari. E allora liberiamo il campo da slogan e affermazioni estremamente evocative, ma prive di fondamento. E cominciamo a ragionare sui problemi reali, scegliendo volta per volta la risposta che ci sembra migliore, la più equa, la più giusta, quella che meglio può rappresentare una sinistra moderna, dove questa modernità non è il ripudiare tutto ciò che siamo o siamo stati, in nome di fantomatici tempi nuovi o persone nuove. Ma in favore delle idee e delle persone migliori, perché è questo di cui abbiamo bisogno, lo sa Dio.

Chi, come me, si è trovato a fare politica negli anni ’80, sa bene cosa significasse all’epoca credere in una sinistra che non fosse necessariamente comunista, sa che in Italia c’erano dei campi di battaglia obbligati e che spesso dire di non essere comunisti e di non condividere le idee dell’allora PCI significava essere rubricati automaticamente nelle file della conservazione. Quello che non ha senso è che dopo decenni in cui si sarebbe dovuto comprendere che si può essere di sinistra senza essere comunisti, ci si ritrovi a sentirsi dire che non accettare quelle che allora erano idee patrimonio culturale della destra, oggi significhi essere dei conservatori. Mi dispiace, so che dà fastidio a molti, ma la destra e la sinistra esistono, sono concetti fondamentali della lotta politica e queste saranno pure idee del novecento, ma sino a che qualcuno non inventerà le categorie politiche del sopra, del sotto e della queezità, sono categorie di cui non possiamo fare a meno neppure in questo coraggioso mondo nuovo. E no, non mi convincerete del fatto che la flessibilizzazione del lavoro e la diminuzione dei diritti di qualcuno in favore dell’assai improbabile aumento dei diritti di qualcun altro, che la privatizzazione dei beni e dei servizi di natura pubblica, che altre mille soluzioni fideistiche che sentiamo da decenni e che hanno abbondantemente mostrato la corda, siano un passo avanti nella direzione della nuova sinistra.

Parafrasando un amico, dirò che quando qualcuno ti dice che non è di destra né di sinistra, questo qualcuno normalmente o è Casini o è uno di destra che non ne è consapevole o non te lo vuole dire. Perché dico questo? Perché nel regno della politica non esistono soluzioni indiscutibili che vanno bene per tutti, non c’è una verità assoluta che come il Verbo divino affermi la sua verità sulle variabili cose del mondo. Ci sono idee diverse che derivano da diverse concezioni della vita, della società, financo del giusto e dello sbagliato, e che portano a soluzioni diverse. Prendiamone atto e esaminiamole una per una alla luce della ragione di cui ognuno di noi dovrebbe essere portatore sano.

Ho scritto tutto questo perché voglio invitare tutti coloro che pensano che essere di sinistra non sia un errore antistorico, un’appartenenza priva di senso, un valore superato dai tempi in cui ci troviamo a vivere, domenica, a votare Bersani. E sia chiaro una volta per tutte, senza acrimonia, né alcun senso di superiorità, che chi vi dice che votare Renzi significa votare la nuova sinistra, in realtà vuole che voi accettiate i valori della nuova destra, legittima, onesta forse, per alcune parti del suo programma, anche condivisibile, ma sempre destra. Perché credere che la partita sia finita con lo scadere del novecento, è comportarsi come quello che ai tempi supplementari invece che entrare in campo, decide di rimanere negli spogliatoi.