Vota e fai votare

Anni fa, molti anni fa, vidi in televisione un film dal titolo Liquirizia. Alla fine del film, durante un rock’n’roll cantato da Ricky Gianco, gli studenti che erano convenuti ad assistere ad uno spettacolo scolastico, spaccavano tutto in preda ad una giovanile furia catartica. Immagino che in una sorta di frenesia pre-punk questo gesto finale rappresentasse la gioventù che, libera dalle pastoie delle regole civili, della “normalità”, dell’inutile susseguirsi del teatrino quotidiano, finalmente affermasse la sua forza dionisiaca, inarrestabile. Questo ho immaginato, ma la verità è che agli occhi del me quindicenne di allora apparvero essere primariamente una banda di deficienti. Questo perché a me i propugnatori della “guerra sola igiene del mondo”, gli apocalittici, quelli del “non si può ricostruire se prima non si distrugge”, sono sempre sembrati degli ingenui, dei pericolosissimi ingenui. Non solo perché, come ci ha insegnato Santayana, chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo, ma soprattutto perché se c’è una cosa che ho capito (e l’aveva già capita il mio alter ego quindicenne), è che, per quanto questo cozzi con le nostre illusioni, con le nostre speranze e con la nostra prepotente pigrizia mentale, non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. Non esiste la parola magica, il sim-sala-bim, che può trasformare una realtà difficile, imprevedibile, incasinata, in una perfetta casa della Barbie. E le parole d’ordine servono, sono necessarie a sintetizzare una posizione politica, una convinzione, ma attenzione, uno slogan, per quanto evocativo,non sostituisce mai un’idea politica, perché è uno slogan, di nuovo, un modo troppo semplice per rispondere a domande complesse.

Qual è la semplificazione con la quale me la sto prendendo? L’idea che per risolvere tutto basti rottamare (soprattutto, visto che ormai la FIAT di Detroit non è riuscita a reimporre gli ecoincentivi), l’idea che chiunque vada bene “purché non siano quelli di prima”, l’idea, alla fine, che l’unico modo per costruire un mondo migliore sia distruggere e dimenticare quello precedente. Intendiamoci, non sono e non sarò mai un conservatore, non penso che si stesse meglio quando si stava peggio e anzi, sono profondamente convinto del fatto che quando si stava peggio si stava solo peggio. Semplicemente non accetto che chi porta avanti idee che non sono in alcun modo nuove o rivoluzionarie sostenga che queste stesse idee servano a comprendere meglio i tempi nuovi di altre idee che hanno la stessa identica dignità ad interpretare i tempi in cui ci troviamo a vivere. Leggo, anche da persone che stimo per lucidità e capacità di analisi, che il novecento è finito e che non si può più interpretare i tempi nuovi con le categorie del secolo passato. Ecco, io a tutti voi chiedo: quali sono queste nuove idee che dovrebbero interpretare questo nuovo secolo, quali sono queste nuove visioni del mondo, che dovrebbero sostituire le vecchie idee di socialdemocrazia, di uguaglianza sociale, di difesa dei diritti dei lavoratori, dei deboli, di coloro che sono svantaggiati tra le comparse che riempiono il teatro del mondo? La flessibilità? L’efficienza produttiva? Le liberalizzazioni? Le privatizzazioni? La concorrenza verso coloro che hanno un costo del lavoro inferiore al nostro, fatta attraverso la compressione dei salari, dei diritti, delle garanzie? La supremazia del mercato? La libera concorrenza? Posto che alcune di queste possano essere le risposte che cerchiamo, qualcuno può legittimamente sostenere che queste non siano idee che appartengano incontrovertibilmente a quel novecento che si vorrebbe morto e sepolto? Fatevene una ragione: il novecento non è affatto finito, alla meglio, se ci dice bene, siamo ai tempi supplementari. E allora liberiamo il campo da slogan e affermazioni estremamente evocative, ma prive di fondamento. E cominciamo a ragionare sui problemi reali, scegliendo volta per volta la risposta che ci sembra migliore, la più equa, la più giusta, quella che meglio può rappresentare una sinistra moderna, dove questa modernità non è il ripudiare tutto ciò che siamo o siamo stati, in nome di fantomatici tempi nuovi o persone nuove. Ma in favore delle idee e delle persone migliori, perché è questo di cui abbiamo bisogno, lo sa Dio.

Chi, come me, si è trovato a fare politica negli anni ’80, sa bene cosa significasse all’epoca credere in una sinistra che non fosse necessariamente comunista, sa che in Italia c’erano dei campi di battaglia obbligati e che spesso dire di non essere comunisti e di non condividere le idee dell’allora PCI significava essere rubricati automaticamente nelle file della conservazione. Quello che non ha senso è che dopo decenni in cui si sarebbe dovuto comprendere che si può essere di sinistra senza essere comunisti, ci si ritrovi a sentirsi dire che non accettare quelle che allora erano idee patrimonio culturale della destra, oggi significhi essere dei conservatori. Mi dispiace, so che dà fastidio a molti, ma la destra e la sinistra esistono, sono concetti fondamentali della lotta politica e queste saranno pure idee del novecento, ma sino a che qualcuno non inventerà le categorie politiche del sopra, del sotto e della queezità, sono categorie di cui non possiamo fare a meno neppure in questo coraggioso mondo nuovo. E no, non mi convincerete del fatto che la flessibilizzazione del lavoro e la diminuzione dei diritti di qualcuno in favore dell’assai improbabile aumento dei diritti di qualcun altro, che la privatizzazione dei beni e dei servizi di natura pubblica, che altre mille soluzioni fideistiche che sentiamo da decenni e che hanno abbondantemente mostrato la corda, siano un passo avanti nella direzione della nuova sinistra.

Parafrasando un amico, dirò che quando qualcuno ti dice che non è di destra né di sinistra, questo qualcuno normalmente o è Casini o è uno di destra che non ne è consapevole o non te lo vuole dire. Perché dico questo? Perché nel regno della politica non esistono soluzioni indiscutibili che vanno bene per tutti, non c’è una verità assoluta che come il Verbo divino affermi la sua verità sulle variabili cose del mondo. Ci sono idee diverse che derivano da diverse concezioni della vita, della società, financo del giusto e dello sbagliato, e che portano a soluzioni diverse. Prendiamone atto e esaminiamole una per una alla luce della ragione di cui ognuno di noi dovrebbe essere portatore sano.

Ho scritto tutto questo perché voglio invitare tutti coloro che pensano che essere di sinistra non sia un errore antistorico, un’appartenenza priva di senso, un valore superato dai tempi in cui ci troviamo a vivere, domenica, a votare Bersani. E sia chiaro una volta per tutte, senza acrimonia, né alcun senso di superiorità, che chi vi dice che votare Renzi significa votare la nuova sinistra, in realtà vuole che voi accettiate i valori della nuova destra, legittima, onesta forse, per alcune parti del suo programma, anche condivisibile, ma sempre destra. Perché credere che la partita sia finita con lo scadere del novecento, è comportarsi come quello che ai tempi supplementari invece che entrare in campo, decide di rimanere negli spogliatoi.