Le mie dieci migliori e più importanti canzoni degli anni ’90

Ok, ci ho pensato. Ci è voluto un po’ perché gli anni ’90 sono stati molto importanti per me, musicalmente parlando. Sono stati gli anni dei vent’anni, gli anni dell’università, gli anni in cui ho cominciato a lavorare. e poi perché, mi spiace per tutti voi indieminkia che saltellate gioiosi nei prati dell’hipsterismo, la musica degli anni ’90 era semplicemente musica MEGLIO. E no, non lo dico perché avevo vent’anni e katsi e matsi, è una questione di pura e semplice obiettività, del resto se qualcuno sostenesse di fronte a me che la musica a cavallo tra il ’65 e il ’75 è stata quanto di meglio sia stato prodotto in ambito pop/rock da che esiste l’universo, non potrei che dargli pienamente ragione, perché è vero e basta. Come è vero il legno di questo tavolo e la consistenza delle nocche delle mie mani se qualcuno di voi obietta citando Vasco Brondi o i Baustelle.

Due approcci erano possibili: fare i ricercati, citando i gruppi seminali dei nostri beneamati ammennicoli e rigettando con piglio radical-snob le cose che tutti, ma proprio tutti, oppure accettare che i ’90 sono stati un decennio in cui mainstream e qualità si sono toccati a lungo (provocandosi anche un paio di orgasmi, a mio avviso) e quindi abbandonare la cappa del “conoscitore di musica” e citare semplicemente le canzoni più fiche che giravano nell’aere, che poi, spesso e volentieri, erano quelle che ti ritrovavi a ballare in discoteca. Come si può facilmente intuire, la seconda è l’opzione che ho preferito e quindi, bando ai preamboli, eccole:

1 – Soundgarden, Jesus Christ Pose. Perché un ventunenne metallaro sfiduciato, in cerca di cose nuove, una sera accese la TV e la sintonizzò su Videomusic e vide e sentì questa mazzata psichedelica e incazzata rombargli sulle gengive. E pochi giorni dopo aveva il vinile di Badmotorfinger orgogliosamente stretto in mano. Ovviamente fu l’inizio della fine.

2 – Nirvana, Smells Like Teen Spirit. Quella che non ha citato nessuno perché, dai, i Nirvana ok, ma proprio quella, che copiano persino nei jngle pubblicitari, che se va bene conosce pure tuo cuggino che ascolta solo DJ Molella! E sì. Proprio quella. Perché fu la prima canzone che ascoltai dei Nirvana e perché ancora a distanza di decenni mi fa venir voglia di saltare e andare a sbattere contro i muri. Era la quintessenza del grunge di ispirazione hardcore punk e pose i canoni del genere (l’alternanza lento-veloce, la voce scazzata, le chitarre feedbackate) che tutti gli altri seguirono per anni ed anni.

3 – Jeremy, Pearl Jam. Perché stavo ancora decidendo se acquistare questo nuovo album, Ten (all’epoca per me acquistare un vinile era un grosso investimento) e il primo singolo, Alive, per quanto piacevole, non mi aveva del tutto convinto. Poi arrivò Even Flow e già ero quasi certo che…ma poi uscì Jeremy e Jeremy semplicemente spaccava. Vedder tirava fuori timbri e acuti che si era tenuto dentro nei pezzi precedenti e l’accoppiata col video clamoroso fu troppo per me. Dovetti avere quell’album ad ogni costo (nella versione USA, scoprii in seguito con grande scorno che nella versione europea c’erano due tracce in più).

4 – Hunger Strike, Temple Of The Dog. Devo veramente spiegare perché? Cornell e Vedder ci regalano uno dei dialoghi vocali più belli di sempre e la forza e la semplicità del pezzo sono uniche. Per anni, in seguito, ho desiderato fare un falò come quello del video, sul Ticino, ma ovviamente la forestale ci avrebbe rapito e venduto al mercato nero degli organi.

5 – Would?, Alice In Chains. La mattina del mio 22esimo compleanno mi svegliai e vidi in rapida sequenza due pezzi girare su Videomusic, il primo era questo e mi aprì un nuovo orizzonte su di una band raffinata e cupa, che più di altre gettava radici nel metal più classico e curava in modo maniacale la pulizia del suono rispetto alle altre band di Seattle, ma quanta goduria e tristezza per un ventiduenne. Dirt diventò rapidamente uno dei miei album preferiti.

6 – This Love, Pantera. L’altro pezzo era questo. Conoscevo già i Pantera per averli visti in un concerto Live From Moscow con tutte le band più importanti dell’epoca del metal/hard rock americano (Skid Row, Bon Jovi, Motley Crue e molti altri che ora non ricordo), ma mi avevano lasciato un po’ freddo. Questo pezzo, invece, aveva carisma, aveva novità ed era molto più sofisticato di gran parte del metal dell’epoca. Insomma, era poetico.

7 – Killin’ In The Name, RATM. All’inizio i RATM mi erano stati immantinente sul cazzo, a causa del video i cui Zach de la Rocha faceva il figo, durante un live, con una delle sue guardie del corpo (voglio dire, sai che figo a prendere le difese del ragazzino con uno che paghi e che non ti può scafandrare di mazzate, capaci tutti!). Il fatto che, nonostante all’epoca fossi persona di odii e amori ancora più forti e immediati di quanto lo sia ora, dopo poco mi fossi ritrovato a saltare come un invasato ad ogni attacco di questo pezzo, dimostra quanto fosse valido, a prescindere.

8 – Drown, Smashing Pumpkins. Ho passato pomeriggi interi a perdermi nei minuti di feedback finali di questo pezzo. Ipnosi pura e galattica. Quando la chitarra è arte.

9 – A.D.I.D.A.S., Korn. Il grunge, nella sua forma più pura e innovativa, era morto. Finito tra le sbiadite imitazioni e la mestizia. Per fortuna c’erano loro a tirarmi fuori l’incazzatura e il fuoco. Poi, anche loro sono finiti malamente in un mesto circo privo di senso. Ma almeno questo pezzo (e molti altri, soprattutto da Life Is Peachy e da Issues) me l’hanno regalato.

10 – Give It Away, RHCP. lo so, a rigore il pezzo e l’album sono del 1989, ma per me rappresentano un 1990 passato ad ascoltare un album cantato da uno che non cantava, rappava e non faceva acuti di alcun genere e suonato con pochissime distorsioni di chitarra e predominanza di una sezione ritmica indemoniata. E ciononostante io l’ho amato follemente. [Errata corrige: mi fanno giustamente notare che il pezzo è del ’91 e non dell’89. Evidentemente mi sono bevuto il cervello, ma meglio così. I tempi sono rispettati!]

Mi piacerebbe riprendere il discorso con le 10 migliori canzoni italiane anni ’90 (perché anche quelle erano musica MEGLIO di quello che gira oggidì. Magari, se avrò tempo e voglia, ne riparleremo).

Il salone del libro di Torino

Al salone del libro di Torino fanno male i piedi. Il che fa entrare tutto orgogliosamente nel reame del sacrificio. Ma anche del Diomadonna Potevate Metterci Un Paio Di Seggiole. Ma pure di puff. Anche di sgabelli, piuttosto.
Al Salone c’era pure il Casu che doveva presentare il suo romanzo e secondo me facevano male i piedi pure a lui anche se non l’ha mai ammesso.
Al Salone abbiamo incontrato Lele, che diceva al Casu di non bere. Me, invece, mi guardava come a dire: e a te, mo’, che vuoi che ti dica ancora? Tanto, ormai…Ma magari era solo che non aveva pubblicato anche un romanzo mio, per cui non si preoccupava troppo.
Al Salone abbiamo incontrato anche Miki. Miki è matto come un cavallo a primavera. Non so in effetti cosa questo possa esattamente significare, ma secondo me rende benissimo l’idea.
Al Salone ho messo a posto la connessione ad internet di una casa editrice digitale, perché se vendi ebook non è bello che funzioni tutto tranne gli iPad e gli e-reader. Però questo ti può permettere di inventarti delle bestemmie molto creative e quindi comunque la creatività italiana vince (e poi dicono che il settore è in crisi).
Al salone del libro ho scoperto che le ragazze che lavorano nei baretti vengono rimproverate se ti danno delle porzioni di patatine troppo abbondanti.
In compenso al salone del libro gira un tizio che per vivere deve lavorare vestito da enorme pupazzone verde a forma di toro. E già così non deve essere granché felice, ma se si aggiunge che c’era il clima tipico della foresta pluviale nicaraguense, secondo me anche se il pupazzone verde sorride, l’uomo dentro al pupazzone ci odia tutti moltissimo. In particolare i bambini. In particolare i bambini sorridenti.
Al salone del libro c’era Davide Enia, che pare una trottola e se non vuoi perderlo di vista devi tenere gli occhi fissi su di lui mentre chiacchierate, ché se ti distrai un attimo sei fregato e chissà lui dov’è finito. In un secondo è a farsi intervistare da RadioDue, in due secondi allo Strega, in tre è già arrivato a Cuba. E mentre si muove e tu gli stai dietro, incrocia sempre qualche donna che gli urla: Daaaavideeee! Ma non fa a tempo a dirgli qualcosa che lui è gia a Benevento.
Al salone del libro sono riuscito a trovare Woland, il che ha del miracoloso perché lui ti dà indicazioni del tipo: “sono vicino ad un cestino della spazzatura, in un angolo”. E quando tu gli chiedi qualche particolare più significativo, aggiunge: “Sono con Diegodatorino”. Grazie a questo particolare ci siamo trovati subito.
Al salone del libro ho conosciuto mr.Potts che è la cosa più vicina ad un lord inglese che ascolti il doom metal. Se non riuscite ad immaginare nulla di così vicino, mi sento di dire che il problema è vostro.
Al salone del libro per avere gli inviti per la festa della Minimum Fax basta che tu vada allo stand e gli chieda: “Mi inviti?” – “Ok”. Al salone del libro per avere gli inviti per la festa della Fandango devi superare il doppio controllo di sicurezza, dimostrare che tu sei tu e non un altro, che nessuno dei tuoi parenti abbia in casa libri della bur e che effettivamente sia saltato in mente a loro di invitarti per primi e perché. Quando poi vai alla festa ci sono dei buttafuori che guardandoti trucemente ti chiedono: “È in lista?”- “Sì” – “Ah, ok, passi pure”. Secondo me c’è qualcosa che non quadra, ma tant’è.
Alla festa della Fandango incroci Baricco che vaga tristissimo solitario e ramingo con la faccia di uno che gli è morto il gatto. Ma magari gli è morta la Holden, che ne so. O magari è allegro così di suo.
In compenso incroci pure la De Gregorio e l’amore della tua vita le tira una gomitata per sbaglio e tu capisci che hai scelto dannatamente bene.
E poi sei lì con Suzukimaruti che ti spiega che devi smetterla di fare il milanese e che tanto tu ti troverai meglio a Torino per cui smetti di rompere le balle e trasferisciti. E la sua compagna ti spiega che lei abitava a 100 metri da casa tua a Milano e pure lei ora sta meglio a Torino per cui smetti di rompere le balle e trasferisciti.
E insomma al salone di Torino incontri anche Nervo che per farsi riconoscere fa la faccia dell’avatar e il Chetti e Lelena (ma tanto loro li incontri dappertutto e si sono pure rotti di incontrarti dovunque e secondo me la sera, prima di spegnere la luce dell’abat-jour, lei gli dice: “controlla che non ci sia Ubi in bagno, sai mai”). Al salone del libro invece non ho incontrato il Many e Grushenka, ma mi sa che è perché io ho sbagliato qualcosa e a un certo punto mi sono perso.
Al salone c’erano anche lo Zio bonino, Stark, Waxen, Marissa e tutti gli amichetti di Spinoza. E poi c’erano anche Serena Ghandi e la Sidgi e io le ho detto: “Auguri!”, poi ho pensato che magari poteva portare sfiga e allora ho detto: “Congratulazioni!”, poi ho pensato che pure quello non sembrava granché e allora l’ho guardata negli occhi mentre le stringevo la mano e ho detto con accento di sincerità: “Insomma…figata!”. Non credo che li incontrerò più.
In conclusione, al salone del libro mi sono divertito, ma la prossima volta ci vado con gli anfibi.

Il toro verde