Le mie migliori e più importanti canzoni italiane degli anni ’90 (l’avevo promesso)

Anche questo non sarà un post facile, ma, per gli stessi motivi del post precedente, credo valga assolutamente la pena fare una breve e certamente non esaustiva carrellata sui migliori pezzi di musica italiana (ove, nella mia particolare concezione, musica = rock) degli anni ’90. Sono stati grandi anni per il rock italiano, per un breve, brevissimo periodo, è sembrato che le cose fossero a portata di mano. Ci pareva che se si fosse lavorato abbastanza bene, l’occasione si sarebbe presentata un po’ per tutti, del resto uscivano moltissime cose e quasi altrettante decisamente interessanti e di buona qualità.
So che molti non concorderanno sulla scelta dei singoli pezzi e probabilmente neppure su tutte le band che citerò, ma sono altrettanto certo che, almeno chi ha un ricordo in prima persona del fermento musicale di quegli anni, la nostalgia la farà facilmente da padrona. E non perché eravamo giovani, ma perché eravamo bravi.

1 – C.S.I. A Tratti. Lo so, lo so, molti (e a ragione) rimpiangevano i cccp e questa trasformazione di Giovanni Lindo Ferretti e co. non l’avevano digerita granché bene, ma quando sentii questo pezzo (e il suo gemello Del Mondo) ipnotico e potente, in cui il testo salmodiante e folle si univa ad una ripetizione quasi ieratica di un violento ritornello finale, non potei fare a meno di perdermici dentro completamente. Questa canzone ha fatto parte di tutte le mie playlist dal 1994 ad oggi.

2 – Ossigeno, Afterhours. Il primo album in italiano degli Afterhours, Germi, conteneva canzoni anche più belle (come dentro Marilyn, ad esempio), ma questo fu il primo singolo che mi capitò di vedere durante Indies di Attilio Grilloni (sempre la cara, vecchia, Videomusic, quanto rimpianto) e rimasi immediatamente affascinato dalla voce di Agnelli, che durante il pezzo dal secondo ritornello in poi si alzava di una bella ottava sull’urlo finale e dalle chitarre “liquide” di Iriondo. In Italia, quindi, c’era anche qualcuno che faceva musica così, allora!

3 – Nuotando Nell’Aria, Marlene Kuntz. Catartica fu un’altra bellissima scoperta, del tutto casuale (mi prestò il disco un amico, l’avevano regalato alla sorella). All’inizio, ammetto che il mio spirito grungettone fu rapito dalla violenza di Sonica, ma alla lunga il carico di tristezza e malinconia di questo bellissimo pezzo (sia pure con una batteria rubata ai Faith No More) mi conquistò per sempre.

4 – Il Primo Dio, Massimo Volume. Poco da aggiungere per chiunque conosca questo pezzo-capolavoro, l’apoteosi. Un cantante che non cantava, declamava, un tappeto ossessivo di chitarra, nessun particolare virtuosismo, ma suoni incredibili, un tappeto ritmico perfetto e un testo che a distanza di decenni, rimane una delle cose migliori che abbia mai sentito.

5 – Conchiglia, Tiromancino. Scommetto che questa scelta ha preso molti in contropiede (“I Tiromancino? Tu?! Avremmo scommesso che uno dei tuoi desideri più segreti fosse di cospargere Zampaglione di Vernidas e dargli fuoco!”), ma prima di diventare quello per cui quasi tutti li conoscono, i Tiromancino (in una versione della band abbastanza differente da quella successiva) erano una buona rock band e hanno scritto canzoni molto interessanti, poi, come spesso accade, le déluge.

6 – Umberto Palazzo E Il Santo Niente, Cuore Di Puttana. Un gran disco e un gran singolo (in due versioni, entrambe molto gradevoli), Palazzo, fuoriuscito dai massimo Volume, ci regalò un bell’album dai suoni crudi, essenziali e dai testi minimali ma interessanti (ricordo anche il testo fantastico di “Aborigeno”).

7 – Timoria, Sangue Impazzito. Non ho mai amato follemente i Timoria, tanto meno quelli dei ’90 (preferisco, piuttosto, i loro primi dischi, se devo scegliere) nonostante abbia sempre apprezzato le capacità vocali del buon Renga (poi, come abbia deciso di usarle successivamente, vabbe’, bisogna mangiare come suol dirsi). Li ho sempre trovati poco interessanti, tamarri e la chitarra di Omar Pedrini spesso mi ha fatto venire il cimurro, ma questo pezzo, pochi cazzi, fu notevolissimo. Semplice, poetico e cantato in modo perfetto. Qualcosa che meritava di rimanere.

8 – Bluvertigo, L.S.D. (La Sua Dimensione). In effetti il mio pezzo preferito dei Bluvertigo era Cieli Neri, ma questo fu un pezzo che per tutta una serie di motivi ascoltai spesso e volentieri per tutta la seconda metà degli anni ’90. I Bluvertigo erano fighetti e abbastanza buffi nel loro voler rifare gli ’80 e i Duran Duran e i Depeche (soprattutto nell’estetica), ma è indubbio che Morgan e i suoi avessero talento e ogni tanto mi piace ascoltare qualcosa che non sia così convenzionale e prevedibile.

9 – Interno 17, Hello. Una band fiorentina (se non ricordo male, prodotta ai tempi da Piero Pelù) con personalità e un sacco di buone idee. Questo pezzo mi rimase in testa per anni e ancora adesso ha un ritornello che ha la capacità, appena ti distrai, di prendere possesso del tuo cervello per riemergere mentre ti stai lavando i denti, appena sveglio.

10 – Tanta Tanta, Politburo. Questa band non ha mai avuto il successo che meritava, a mio avviso. Il loro secondo album era assolutamente gradevole e conteneva questo gioiellino che io ho sempre trovato incredibilmente poetico, nei testi e nelle atmosfere.

Come sempre il fatto di voler fare una classifica di soli dieci pezzi ti costringe a saltare tantissime altre canzoni che meriterebbero (una citazione per tutte: Sbagliato dei Disciplinatha, con un maledetto riff che ancora oggi mi ritrovo a fischiettare almeno una volta al giorno, altro che virale), ma credo comunque che questo elenco riesca ad essere abbastanza condivisibile, a voi la parola.

Momentum

In inglese ‘momentum’ è l’impeto, l’inerzia che ci portiamo dietro quando ci muoviamo, quella forza che mettiamo nello slancio e che poi è così difficile riassorbire a meno di avere un qualche solido appoggio.
In italiano “momento” è l’istante. Quella ideale porzione di tempo, non misurabile con precisione, solo concettuale, che rappresenta il passaggio di una quantità il più infinitesimale possibile della nostra vita, tale da essere a malapena percepibile. Un momento sei qui e il momento dopo sei nel futuro.
Quante volte abbiamo chiesto: “Mi dai un momento?” e forse intendevamo davvero sfuggire dalla pressione del qui ed ora, inconsciamente pensando di scaricare il problema sul nostro io futuro, quel qualcuno che non conosciamo, ma facciamo finta di conoscere per non impazzire, che saremo da ora a tra pochissimo.
Ecco, ogni volta che leggo ‘momento’ non posso fare a meno di pensare a noi, ai nostri poveri corpi, proiettati nel futuro e non in grado di fermare questo impeto che ci porta ad andare avanti di quell’infinitesimo istante, con i nostri movimenti sgraziati, se fermati in forma di singolo fotogramma, con le nostre dita nel naso e le nostre espressioni ridicole.